Tutti si occupano di Project Management ed ovunque si trovano corsi di formazione in proposito.
Se quello che cercate è un corso standard sulla gestione dei progetti allora izisi - detto fra noi - non fa al caso vostro. Forse basterebbe un qualsiasi corso universitario, nulla più. Chi con i progetti ha avuto a che fare, sa bene che la parte “hard” del Project Management è solo un piccolo aspetto da considerare. Conoscere i segreti dei formalismi e degli strumenti tradizionali è necessario, ma decisamente non sufficiente. I problemi [quelli veri] sono ben altri. Continuando a ridurre tutto ad un mero tecnicismo, ci si garantisce uno sterminato orizzonte di difficoltà. Dunque, bisogna pro-gettare lo sguardo oltre.
Nella parte più “tecnica” dell’intervento si trasferisce una metodologia di base semplice ma efficace per strutturare e sostenere un progetto: WBS, MPM, Pert e Gannt non saranno più un mistero. Per il resto a prevalere sono i temi comportamentali e di interpretazione del ruolo, nella direzione di un approccio mentale al progetto che equilibri l’operatività di dettaglio con la visione d’insieme. Tutti strumenti indispensabili per chi lavora per progetti e desidera affrontarli potendo sussurrare, talvolta, che in fondo "it's easy"! Ecco tutto. In estrema sintesi, izisi agisce migliorando le competenze dei partecipanti nell’affrontare e sostenere un progetto, interpretandolo efficacemente da un punto di vista individuale e collettivo.
Le idee alla base di izisi sono:
Al di là dell'intervento formativo, Izisi é [soprattutto] un nuovo atteggiamento mentale: superare la tradizionale e spenta interpretazione del ruolo del Project Manager, per abbracciare la funzione del facilitatore. L'assillo è sempre quello: garantire il senso di quanto sta producendo il progetto [contestualizzato all'interno del processo decisionale complessivo]. Un'ossessione che, di fatto, corrisponde alla principale responsabilità del facilitatore di progetto: anteporre l'efficacia all'efficienza, salvaguardando il fine di ogni sforzo e preservandolo dalla deleteria commistione con i mezzi. Il facilitatore osserva, ascolta, chiarisce. Quando tutto procede come dovrebbe, quasi quasi svanisce, per fare capolino non appena sopraggiungono le prime incomprensioni. Antepone l'obiettivo di progetto a qualsiasi altro obiettivo, talvolta puntando a conciliarli [come insegna la teoria dei giochi, in un team la collaborazione produce più valore della competizione]. Insomma, nulla di semplice, nulla di scontato e banale. Nessuna ricetta miracolosa. Soltanto una ferrea volontà di fare chiarezza e di sposare il buon senso.
In sostanza, il facilitatore è il responsabile del senso di quanto produce il progetto. Ma come agisce? Ricorre forse ad una leadership forte, assertiva ed autoritaria? Salvo situazioni specifiche, nulla di tutto ciò. Semmai una lenta e faticosa conquista del team di progetto, basata sulla stima reciproca, sulla franchezza. La chiave di volta sta nel creare un clima giusto, massimizzando fiducia ed apertura: il facilitatore coinvolge e salvaguarda il team, prima di tutto. Tanto lavoro frenetico? Non sia mai. Innanzitutto la qualità, l'efficacia prima dell'efficienza. In un contesto gradevole, sereno, che restituisca dignità al lavoro, al tempo ed [in ultima istanza] agli individui. Tutto un altro modo di intendere il lavoro, dunque.
Lo stesso approccio, gestito come servizio, diventa gudgiob.